14 settembre - Collegium Musicum Classense

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14 settembre 2019, ore 21, Sala del Refettorio, Pomposa

Kammermusik
Johann Sebastian Bach inconsueto


Onda Armonica
Sergio Azzolini, fagotto barocco
Alberto Stevanin, violino e viola; Gianni Maraldi, viola; Cecilia Amadori, violoncello;
Maria Luisa Baldassari,  cembalo

 
Il fagotto, strumento a fiato della famiglia dei legni, ha una storia relativamente recente: nato dall'evoluzione della dulciana,   convive con questa per lungo tempo (Bach ne prevede ancora l'uso). Responsabile della nascita del fagotto fu probabilmente Martin Hotteterre (d.1712) che negli anni cinquanta del Settecento ideo' il fagotto in quattro sezioni, una disposizione che consentiva una maggiore accuratezza nella lavorazione della canna rispetto alla dulciana in un pezzo unico.
Nel Seicento il fagotto viene usato come strumento di continuo e basso del gruppo di ance spesso adottato per esempio da Lully nelle sue opere per situazioni coloristiche particolari. La sua presenza in ensembles e' tuttavia sporadica fino alla fine del secolo, quando gli strumenti ad ancia si diffondono fuori dalla Francia: da quel momento troviamo opere di compositori come Joseph Bodin de Boismortier, Michel Corrette, Johann Ernst Galliard, Jan Dismas Zelenka, Johann Friedrich Fasch e Georg Philip Telemann. Antonio Vivaldi lo include in ben 37 concerti. All'inizio dell'era Rococo', Joseph e Michael Haydn, Johann Christian Bach, Giovanni Battista Sammartini e Johann Stamitz iniziano a sfruttare il fagotto per il suo colore, piuttosto che come semplice raddoppio della linea di basso. Le opere orchestrali con parti completamente indipendenti per il fagotto non diverranno pero' frequenti fino all'era classica.
La pratica della trascrizione di opere concepite per uno strumento su strumenti diversi e' diffusissima in tutto il Barocco, legata da un lato a necessita' contingenti (la presenza di uno strumentista piuttosto che un altro...) dall'altro al desiderio di sperimentare sonorita' diverse, consentite da una scrittura non sempre idiomatica. Le trascrizioni qui presentate utilizzano strumenti ben noti a J. S. Bach e concretizzano una prassi molto usata dal compositore stesso.
 
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